RAE ARGENTINA AL MONDO

Il presidente Milei promuove un'ampia deregulation dell'economia

Il mega-decreto annunciato mercoledì dal presidente Javier Milei, getta le basi per un'ampia deregulation dell'economia nazionale ed è stato presentato dal leader ultraliberista come la "base per la ricostruzione" del Paese afflitto da gravi squilibri macroeconomici e sociali.
In un video trasmesso a reti unificate, il capo dello Stato ha presentato solo 30 delle oltre 300 deroghe e disposizioni che figurano nel testo e che verranno adesso sottoposte in blocco all'approvazione delle Camere.
Secondo quanto si legge nel documento originale pubblicato oggi sulla Gazzetta Ufficiale, i primi tre articoli del decreto costituiscono il quadro generale che giustifica il resto delle 360 misure adottate.
Nel primo articolo si decreta "l'emergenza pubblica in materia economica, finanziaria, fiscale, amministrativa, previdenziale, tariffaria, sanitaria e sociale fino al 31 dicembre 2025".
Il secondo è dedicato alla deregolamentazione e afferma che "lo Stato nazionale promuoverà la vigenza di un sistema economico basato su decisioni libere, adottate in un contesto di libera competenza".
Per raggiungere questo fine, recita il testo, "verrà attuata la più ampia deregolamentazione del commercio, dei servizi e dell'industria".
Il terzo articolo riguarda invece la politica estera commerciale, e afferma la necessità di adottare standard internazionali in materia di commercio di beni e servizi nel rispetto in particolare delle raccomandazioni dell'Organizzazione mondiale del commercio (Omc) e dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse).
Sulla base di queste premesse il megadecreto stabilisce tra le altre cose l'abrogazione della legge sull'approvvigionamento che assicura quote di beni al mercato interno; della legge sugli acquisti nazionali che impone allo Stato di privilegiare imprese locali per appalti e concessioni; delle leggi di promozione industriale e commerciale; e della legge che impedisce la privatizzazione delle aziende statali, il presidente dispone la scomparsa della figura della "società dello Stato", tutte quelle che non siano integralmente con capitale privato, secondo la definizione della legge del 1974. Il governo si impegna ora a trasformare "ogni impresa pubblica in società anonima, per la sua successiva privatizzazione". Un percorso che dovrebbe portare alla dismissione delle quote pubbliche in aziende storiche come Aerolineas argentinas o la compagnia energetica Ypf. La politica "aeronautica argentina ha limitato fortemente lo sviluppo dell'industria commerciale aerea, pilastro non solo dell'integrazione del Paese ma anche dello sviluppo economico e del turismo", si legge nel preambolo. Si rende quindi "imperativo" un riordino integrale del comparto per creare le condizioni di flessibilità utili a garantire il collegamento tra tutte le città. Nel decreto si definisce inoltre pari a 25 miliardi di dollari il debito contratto assieme da Ypf e Banca centrale. Delicato è anche il tema della Legge sulle terre, che impediva la cessione a stranieri di porzioni di terra eccedenti una certa quota, e che il governo intende cancellerà per "promuovere gli investimenti.
Intanto, ieri, si era tenuta la prima grande manifestazione ricordando il 22esimo anniversario dell'esplosione sociale in cui morirono 39 persone in tutto il Paese, situazione che portò alle dimissioni dell'allora presidente Fernando De la Rua nell'anno 2001. Contemporaneamente dopo il mega-decreto annunciato per la deregulation dell'economia e la privatizzazione di tutte le aziende statali annunciato dal presidente migliaia di persone si sono riversate nelle strade delle principali città dell'Argentina per protestare. Nella capitale Buenos Aires la protesta, iniziata timidamente già pochi minuti dopo l'annuncio, è sfociata con il passare dei minuti in una grande manifestazione spontanea che si è diretta da diversi quartieri verso la piazza del Congresso, nel centro della città, dove verso la mezzanotte erano già radunate diverse migliaia di argentini: "La patria non si vende" gli slogan più ascoltati tra i manifestanti.